Lei era seduta davanti a lui su quel tavolino di legno rotondo piccolissimo davanti alla finestra semiaperta per far uscire il fumo della sigaretta e l’odore di bruciato di quello che rimaneva del fuoco acceso nel camino. Guardava la fiammella esausta e pronta a spegnersi e le veniva da ridere a pensare a quanto in quel momento si assomigliassero.
Avevano discusso così tanto quella sera da non riuscire più a dirsi niente, se non a guardarsi bere vino e accendere e spegnere decine di sigarette. Il tavolino tondo di legno era gremito di piatti pieni e bottiglie vuote, posacenere traboccanti di mozziconi e bicchieri sporchi.
Di tutti questi anni insieme lei non smetteva di pensare alla prima sera che si erano visti e a come lui era vestito. Uno zuccotto giallo che copriva quasi metà del suo viso e un paio di scarpe che gli facevano i piedi piccolissimi. Era rimasta stregata da quei piedi.
Poi la sera dopo, quando in quel locale, sotto le note di I’ve got a woman di Ray Charles lei aveva capito che quei piedi erano in grado di ballare, e anche bene, e che probabilmente avrebbe continuato a vederli per molto, moltissimo tempo.
Da quel tavolino lui si era alzato per mettere un disco, quasi a sinonimo di una tregua, una sosta momentanea. The Genius of Ray Charles, 1959, Atlantic Records. Senza pensarci troppo aveva raggiunto l’ultimo pezzo della seconda parte del disco, Come rain or come shine e l’aveva presa per mano e portata al centro della stanza, allo scopo di introdurre una danza.
I’m gonna love you like nobody’s loved you
Come rain or come shine
Non avevano più voglia di dirsi niente, adesso nemmeno si guardavano.
You’re gonna love me like nobody’s loved me
Come rain or come shine
Sapevano entrambi cosa stavano pensando l’un l’altro e avevano capito anche che probabilmente non si sarebbero visti per molto, moltissimo tempo.
Happy together, unhappy together
And won’t it be fine?
La punta del giradischi si era alzata e rimessa dolcemente al suo posto.