La mia idea di perfezione

Dipingiamo di giallo la parete del nostro nuovo appartamento e dalle casse sento un motivetto che mi ricorda una canzone.

– ma è una versione di daydreaming questa?

– ma no non può essere

-ti giuro che è lei, vai a controllare

-ti pare che non la riconosco?

-dai vai a controllare

Era lei. Ti guardo con la faccia di chi sa di avere ragione e tu accenni quel sorriso perché tanto lo sai che ho sempre ragione io.

Buona Pasqua

Molti anni fa ho letto una frase che mi ha affascinata particolarmente e che ho sempre ritenuto facesse parte di me, in un modo o nell’altro: Finchè ho le gambe posso andare dove voglio.
Tornando verso casa un irresistibile profumo di frittura mista ha invaso il mio naso e in un attimo mi sono proiettata nel consorzio di casa al mare dopo la consueta corsetta pre-cena. I miei cinque sensi stavano rivivendo scrupolosamente quell’immagine: nessuno in giro se non qualche runner audace e dalle villette odori di buono, rumore di stoviglie e sigle di telegiornali. La mia corsa di solito si concludeva in un modo: arrivavo fino al mare e senza pensarci troppo nella spiaggia vuota mi toglievo i vestiti e mi tuffavo. Libertà, come a ringraziarmi della fatica fatta e probabilmente una delle sensazioni più belle mai provate. Mi viene da credere che forse tutte le belle sensazioni vengano dalla natura: l’odore della primavera, la sabbia fresca e il vento mattutino estivo. Ma poi penso a tutte le persone che mi mancano e allora capisco che non è propriamente così. Sebbene io decida di mettermi a correre, stavolta non potrei mai arrivare al mare.

La fine della farsa

Normale avere paura e pensare di aver perso grandi occasioni della vita in un momento così introspettivo e allo stesso tempo irreale come quello di una quarantena. Anche solo la parola sembra assurda, ricorda i film apocalittici o qualche videogioco a cui giocava mio padre nel 1997. Chissà quante cose non abbiamo detto sperando che prima o poi lo avremmo fatto o semplicemente per orrore di quello che sarebbe successo.
E lei pensava con esattezza a quello, nello specifico a una persona. Aveva paura che non avrebbe avuto più il tempo né l’occasione per farlo. Eppure pochi mesi prima era lì, a disposizione. Lo vedeva quasi tutti i fine settimana, e nonostante fossero passati più di sette anni dal loro primo incontro, quello che lei provava non era mai cambiato. L’esito era sempre lo stesso. Non le erano bastati i gesti palesi, i tradimenti, le cattiverie inconsapevoli e i rifiuti. Per lei era solamente una persona che non riusciva a capire – ancor meno – ad esprimere le sue viscere, forse solo con qualcuno che lo avrebbe aiutato a farlo. Si attaccava agli sguardi. Gli sguardi nel bel mezzo di nulla. Spesso si sentiva osservata e ogni volta che si girava vedeva lui guardarla, ma guardarla in un modo in cui forse non l’aveva e non l’avrebbe mai guardata nessun altro. E per lei quello era tutto. Era la dimostrazione che avrebbe solo dovuto fare qualcosa e dire esattamente le cose come stavano. Ma era sempre stata troppo orgogliosa e insicura per farlo. E ogni notte fino alle sei del mattino nel suo letto si chiedeva cosa sarebbe potuto succedere se fosse stata un po’ più forte e se mai avesse avuto l’occasione di incontrarlo di nuovo.
Così, a quarantena finita, diversa e probabilmente più forte di quello che avrebbe pensato, lo incontrò. Un discorso che si era preparata da sempre al quale ogni anno aggiungeva qualcosa, snocciolando tutte le occasioni, gli aneddoti e le sequenze della loro vita che avevano passato distanti e vicini. Lui, guardandola con imbarazzo e affanno, accennando un ghigno quasi come fosse impossibile che potesse essere pensabile, le disse schiettamente che da parte sua non era mai stato così.

Accuditemi

La mia stanchezza e insofferenza di fondo nasce dall’incapacità di non pensare al benessere dell’altro sopra me stessa e nel frattempo pretendere che questo altro faccia lo stesso, nonostante non avvenga mai così. Sono madre da sempre e probabilmente non lo sarò mai.